Anni di piombo a Prato (3)

Puntata n. 1 – Il capo delle BR in via del Ceppo Vecchio

Puntata n. 2 – Un ragazzino dentro il caso Moro

Puntata n. 3- Brigatisti al Soccorso

Maria Cappello era nata in Sicilia nel 1954 ed era arrivata a Prato nel 1964, ancora bambina, come tanti altri di noi in quel periodo. Andò a vivere con la famiglia al 62 di via Ferrara al Soccorso, un quartiere popolare che si avviava a diventare centro  d’immigrazione, com’è ancora oggi.
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Prato in quel periodo non offriva molte possibilità a una ragazza meridionale non bella, anche se intelligente. Trascorse l’adolescenza in una città che allora ostentava ricchezza in un modo oggi impensabile. Nel suo futuro le si prospettava di seguire il mestiere del padre, che era venditore ambulante e faceva i mercati, oppure andare in fabbrica, e così finì a fare l’operaia al Fabbricone.
Davanti a sé aveva dunque solo una vita molto modesta dedicata al duro lavoro e alla famiglia; molti accettarono la situazione, Maria rifiutò e abbracciò la lotta armata. Il terrorismo e la clandestinità cambiarono il suo destino trasformandola in uno dei capi delle Brigate Rosse degli anni ’80.

Giovanissima aveva incontrato un altro giovane “immigrato”, Fabio Ravalli che abitava con la famiglia in via Padova. Era un ragazzo irrequieto, ultimo di nove figli, arrivato bambino a Prato da Castiglion dei Pepoli, cioè dall’Appennino povero, terra d’emigrazione. Rapidamente i due si politicizzarono, anche se non è facile capire dove e come, visto che la città non conserva memoria del loro giovanile transito.

Ravalli presto finì in carcere per diversi anni per una rapina di autofinanziamento.  Si sposarono durante la detenzione e dopo la scarcerazione nel 1981 vivevano con i genitori di lei. Ravalli trovò lavoro al Fabbricone come operaio in filatura e nel 1982 tentò inutilmente di organizzare uno sciopero spontaneo. Dopo qualche giorno si licenziò per dedicarsi alla lotta armata. Nel 1983 fu licenziata anche Maria.

maria-cappello-869148_tnInsieme entrarono in una formazione denominata Brigata “Luca Mantini” insieme con altri giovani, pratesi e toscani, tra cui un’amica di Elfino Mortati. Tra le prime azioni ci fu la rapina ad un ufficio postale a Mezzana a seguito della quale, nel novembre del 1984 arrivarono in via Ferrara gli agenti della Digos. Trovarono la solita quantità di volantini e risoluzioni politiche tanto care a tutti terroristi. Arrestarono solo la moglie perché Fabio, avendo capito che stava per arrivare un ordine di cattura per banda armata, era già fuggito. Fu comunque successivamente arrestato per pochi giorni e rilasciato per insufficienza di indizi. La detenzione in attesa di giudizio di Maria Cappello durò invece un anno, fino alla decorrenza dei termini di detenzione preventiva. Nel dicembre del 1985, entrò in clandestinità a fianco del marito, nonostante avessero un figlio, che allora aveva 8 anni, lasciato a Prato alle cura dei nonni. Furono ricercati da allora fino alla cattura nel 1988 e per tre anni il loro nome fu associato ai più gravi episodi di terrorismo compiuti dalle Brigate Rosse-Partito comunista combattente, tra cui l’ assassinio dell’ ex sindaco repubblicano di Firenze Lando Conti (avvenuto il 13 febbraio dell’86) e del senatore Roberto Ruffilli (assassinato il 17 aprile ’88).

Ravalli-150x150Il loro ruolo all’interno delle BR- Pcc fu preminente e gli inquirenti li ritennero i capi della formazione  terroristica, anche se sembra con ruoli diversi. Ravalli, grande e grosso, era il braccio e aveva impugnato le armi anche in una sanguinosa rapina in via Prati a Roma che fruttò al gruppo almeno un miliardo di lire.  Maria Cappello invece era la mente  e l’ideologa, e scriveva la maggior parte delle lunghe e un po’ farneticanti rivendicazioni.

Furono arrestati nel 1988 e condannati a diversi ergastoli per gli omicidi compiuti. In carcere dal settembre del 1988, secondo gli inquirenti avrebbero ispirato le analisi delle nuove Brigate rosse sul conflitto sociale e gli omicidi dei giuslavoristi D’Antona e Biagi, che rivendicarono durante un’udienza di un loro processo.
Fabio Ravalli e Maria Cappello,  oggi ultrasessantenni, hanno passato 30 anni in carcere da ultimi irriducibili. Sottrarsi da un destino mediocre li ha portati dal Soccorso verso un destino tragico.

Aggiornamento:

Ancora oggi (2024) Maria Cappello settantenne si trova nella sezione di Alta Sicurezza del carcere di Latina. Fabio Ravalli nella Casa Circondariale Terni.